Due immagini a confronto della paziente: prima e dopo il percorso terapeutico

Tempo di lettura: 4 minuti.

I casi clinici complessi che si presentano all’osservazione nel nostro studio vengono affrontati con uno studio e una esecuzione multidisciplinare. Questo approccio permette non solo di ottenere un trattamento (una protesi) completamente individualizzata per ogni singolo paziente ma anche una  fluidità nello sviluppo dei vari passaggi.
Un flusso di lavoro ordinato e su misura per il singolo paziente permette di lavorare con tranquillità e di comprendere, in ogni momento, se e dove si è presentato un eventuale errore e poterlo correggere senza compromettere il risultato finale e senza, soprattutto, dover raggiungere compromessi.

Improvviso gonfiore e dolore all’articolazione temporo mandibolare

Il caso clinico, di cui vi vogliamo parlare in questo articolo, riguarda una paziente che si è rivolta a noi lamentando un gonfiore acuto all’articolazione temporo mandibolare (ATM) con dolore a destra.

N.B. L’articolazione temporo-mandibolare è una delle articolazioni più complesse del corpo umano e collega il mascellare superiore e inferiore, al quale consente il movimento in avanti, indietro e laterale.

Foto effettuate durante la prima visita in studio.

Durante la prima visita si è evidenziata una eccessiva diminuzione della dimensione verticale, dovuta ad un consumo delle protesi, e quindi si è stabilito che la paziente avesse bisogno di un rialzo occlusale. La diminuzione della dimensione verticale (denti troppo bassi-corti) ha, infatti, portato ad avere l’episodio acuto di gonfiore e dolore relativo all’articolazione destra.

N.B. La dimensione verticale (DVO) determina l’altezza del viso quando abbiamo i denti in occlusione ovvero quando i denti vengono in contatto tra di loro nel momento in cui chiudiamo la bocca. Dal punto di vista estetico, valutiamo questa dimensione misurando dalla punta del naso al mento.

Rialzo occlusale: perché è importante procedere a step?

Ma torniamo alla nostra paziente e alla necessità di un rialzo occlusale.

Di quanto rialzare? Si può decidere di “rialzare” in maniera arbitraria, rischiando di compromettere la funzione articolare?

Assolutamente no.

Il primo step è lo studio del caso tramite cefalometria digitalizzata. La cefalometria, ricordiamo, è una radiografia del cranio che permette di studiare le varie forme dei profili facciali e delle strutture ossee che costituiscono il nostro cranio e, tramite opportune misurazione, il loro rapporto con la situazione dentale del paziente.

Attraverso l’analisi dei risultati della cefalometria funzionale di Slavicek abbiamo riscontrato un valore iniziale, relativo alla dimensione verticale della nostra paziente, estremamente basso, pari a 36.5.

Con l’ausilio della “Tabella Asta Incisale” abbiamo identificato il valore dell’altezza facciale della paziente al momento della visita (36.5) e il valore che avrebbe dovuto avere in base al suo scheletro, ovvero 42.0 (entrambi cerchiati di rosso nella tabella seguente).
Per poter raggiungere il valore desiderato era dunque necessario procedere con un “rialzo” di 14 tacche (cerchiato di verde).

Tabella Asta Incisale con le misurazioni rilevate dalla cefalometria effettuata.

Come ristabilire la dimensione verticale corretta

Dopo aver rilevato il valore giusto della dimensione verticale per la nostra paziente, e di conseguenza il rialzo da impostare, abbiamo deciso di applicare delle placchette di verticalizzazione alle sue vecchie protesi, per ristabilire così la dimensione e la posizione mandibolare corretta.

Applicazione delle placchette verticali.
Foto effettuate in seguito all’applicazione delle placchette verticali.

Placchette di verticalizzazione: quali benefici?

La paziente ha “indossato” le placchette per un periodo di 3 mesi affinché potesse continuare con la funzione masticatoria riducendo il dolore e l’infiammazione. Anche in casi in cui il dolore è assente i pazienti sperimentano, fin da subito, una sensazione di benessere in quanto assumono una posizione della bocca naturale e non in tensione.

Inoltre, le placchette consentono di fare diagnosi sui pazienti senza compromettere nulla dei precedenti lavori. Infatti, se la posizione fosse risultata sbagliata per la nostra paziente, in qualsiasi momento avremmo potuto rimuovere le placchette e tornare alla condizione iniziale.

Con la dimensione verticale giusta si può procedere con le protesi

Dopo tre mesi in cui la paziente masticava e parlava sulle placchette verticali, senza provare alcun dolore e fastidio, abbiamo iniziato a preparare tutte le procedure per inserire degli impianti in mandibola con un carico immediato inferiore.
Prima di ciò e per avere conferma della bontà del progetto, abbiamo effettuato una nuova cefalometria che ha confermato che la posizione decisa in pre terapia era corretta.

Potevamo così finalizzare le protesi di entrambe le arcate.

Abbiamo deciso per una protesi fissa per l’arcata inferiore su impianti e una protesi mobile, per l’arcata superiore, con denti in composito anziché in resina per diminuire il rischio di consumo.

Foto effettuate al termine del percorso di terapia scelto per la paziente.

I risultati ottenuti sono sia funzionali sia estetici

Il percorso terapeutico studiato per il caso clinico oggetto di questo articolo, ha permesso di raggiungere risultati ottimali sia dal punto di vista funzionale sia dal punto di vista estetico.

La corretta posizione delle nuove protesi, ha permesso alla paziente di eliminare completamente il dolore provato fino al giorno in cui si è presentata presso il nostro studio e le ha ridato un aspetto giovanile. Sono sensibilmente diminuite le rughe attorno a naso e bocca, il viso ha assunto ha una forma più allungata, le labbra hanno riacquistato carnosità e naso, labbra e mento hanno nuovamente una giusta proporzione.

Prima e dopo a confronto: si nota un viso allungato e di conseguenza una sensibile riduzione delle rughe.
Immagini laterali prima e dopo: si noti un aumento della dimensione verticale che permette di avere una giusta proporzione tra naso, labbra e mento.

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Case Study: gonfiore all’articolazione temporo-mandibolare
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